Non appena finita la partita tra Roma e Inter, bellissima e dissennata come solo in UK sanno fare, la maggior parte dei tifosi interisti si rammaricava del risultato, probabilmente bugiardo, che puniva una squadra che comunque aveva avuto un’ottima supremazia territoriale e anche delle ottime occasioni da gol. Piccolo, sparuto, era il gruppo di chi si lamentava di alcune decisioni di Luca Banti, arbitro di Livorno.
Nell’analisi a caldo post-partita scrivevo:
Ci sono scelte clamorose? Probabilmente no, ma il punto non è la decisione clamorosa, anche se ci torneremo dopo. Ci sono motivi reali di malcontento? Sì, e ci torneremo dopo.
Il problema nasce quando una buona dose di tifo interista rimastica un refrain ormai buttato lì qualche anno fa, non si sa da chi, e da quel momento diventato mantra per azzerare le proteste… almeno quelle che conviene tacitare.
“L’Inter dovrebbe essere più forte anche degli episodi“. Oppure, con più precisione: “Lamentarsi oggi degli arbitri non ha senso, vincere o perdere era nelle nostre possibilità”, risposta che vorrebbe essere autoconclusiva ma che non si accorge di essere contraddittoria (e ci torniamo dopo).
CHI HA PAURA DELLA TECNOLOGIA?
Perché, vedete, di arbitri si parla soprattutto quando non è più conveniente tacere: per cui siamo tutti straordinariamente attenti all’arbitraggio del volley nazionale contro il Brasile o dei voti dei giudici quando si parla di ginnastica (ritmica, a corpo libero etc…) o di tuffi. Purché questi siano contrari ai nostri beniamini, altrimenti è facile dire “giusto così, meritato comunque”: sentito con questo paio di orecchie in dotazione.
Lo spunto per questa riflessione e per questo articolo lo dà Beppe Marotta, Amministratore Delegato della Juventus. Ebbene, in una intervista a “Radio Anch’io Sport” su Radiouno dice più o meno testualmente:
E chi ha paura della tecnologia? In cosa condizionerebbe la “soggettività e la discrezionalità” dell’arbitro? Di quale “essenza” parla? Fossi stato in studio avrei chiesto “Lo sa che per un fuorigioco e un gol fantasma avrebbe perso almeno uno scudetto? E poi, in che senso, scusi? Se un intervento è fallo, è fallo. Punto. Se su Niang non c’è rigore, non c’è rigore. In cosa consiste la ‘discrezionalità’ dell’arbitro?”.
E poi avrei ricordato al buon Marotta periodi antichi, ma non troppo, quando la si pensava diversamente. Quando quella “discrezionalità” probabilmente gli piaceva meno, mentre adesso, chissà perché, gli piace un filo di più.
Oppure quando disse:
Ci piacerebbe rigirare le stesse considerazioni e vedere la reazione di oggi. Perché a quel tempo la “discrezionalità” dell’arbitro era chiamata in un altro modo, ovvero “sudditanza psicologica”?
Oppure quando ci raccontava che “Ogni volta la Juve è additata di situazioni poco chiare, ma nell’arco di un campionato gli episodi si compensano” salvo poi trovarsi qualche anno prima sul lato oscuro della sofferenza arbitrale:
Oppure qui:
Oppure:
O quando era ancora alla Sampdoria e aveva ben chiaro quale fosse il “male oscuro del calcio”:
E perché non ricordare a Marotta il “pendolarismo” di certe dirigenze e certi allenatori sul giudizio nei confronti degli arbitraggi?
O quando era persino più imbufalito arrivando a gridare “vergogna, vergogna”:
Per non dimenticare chi, pur dicendo di non essersi mai lamentato degli arbitraggi e di non avere mai avuto reazioni scomposte, nel 2007, da fresco campione del mondo, dopo un Parma-Juventus disse:
Esattamente lo stesso che diceva “Non me ne sono reso conto e sono onesto nel dire che se me ne fossi reso conto non avrei dato una mano all’arbitro”.
Allenato oggi dall’allenatore che subì dall’altra parte la vicenda del gol/non-gol di Muntari: “Mi dispiace dirlo, ma c’è solo un episodio che ha condizionato il campionato. Il gol fantasma di Muntari al momento è decisivo per il campionato, anche se qualcuno vorrebbe metterlo in un cassetto“.
Salvo poi dimenticare un po’ di cose, da juventino, e litaniare che:
QUANTO CONTA UN ARBITRO
Tutta questa trafila per dire cosa? Che evidentemente oggi a Marotta gira piuttosto bene, altrimenti sappiamo quali sarebbero stati i suoi improperi e le sue lagnanze, ce lo dice la sua storia e il suo vocabolario.
E per ricordare, a lui che con molto opportunismo oggi rivendica la discrezionalità e la soggettività dell’arbitro, che fischiare condiziona ancora, e parecchio, le partite di calcio (ma in genere di tutti gli sport).
La cosa che più salta all’occhio è evidententemente il grave errore arbitrale: il fuorigioco netto, il rigore che c’è o non c’è, le decisioni totalmente sbagliate che incanalano il risultato in maniera diretta ed evidente. Per esempio, la partita di ieri tra Milan e Sassuolo è fortemente condizionata da errori clamorosi (fallo di Donnarumma in area su Politano non fischiato, sul rigore su Niang è lui che inizia a tirare la maglia da fuori area eppure rigore per il Milan, nel finale Acerbi a terra dopo un contatto con De Sciglio non fischiato): è facile dirlo anche se tra i cronisti e i giornalisti c’è sempre imbarazzo quando c’è di mezzo il Milan favorito. Di più, se non hanno imbarazzo alcuno nel definire “bravissimo” un giocatore che ha platealmente simulato un contatto che ha portato al rigore (per il video ringraziamo l’amico Diego):
La bravura, la furbizia di Niang from dondiego on Vimeo.
In cui non è da stigmatizzare il tuffo plateale del milanista, ma Antei reo di fare “qualcosa che induce l’arbitro all’errore”.
Questi errori hanno un peso diverso anche e soprattutto nel periodo di gara in cui vengono commessi. Empoli-Juventus e Palermo-Juventus sono due partite giocate maluccio dai bianconeri, eppure riescono a vincerle: non c’è nulla che si frappone tra la vittoria e la brutta prestazione, non c’è nessuno che impone ai bianconeri di “essere più forti degli episodi”, nonostante un approccio di gara sbagliato, una giornata no di molti calciatori.
L’Inter contro lo Sparta Praga subisce il primo gol in netto fuorigioco:

A questo errore quasi nessuno ha voluto dare peso. Serve come “giustificazione” per la prestazione in Europa League? Certamente no e l’Inter ha sbagliato approccio alla gara, giocando una partita piuttosto brutta (rivedendola vogliamo essere chiari: non da vergogna): ma se le altre squadre vincono pur giocando una partita brutta, con magari a fine partita tanti peana per il carattere da grande squadra, cinica e fredda al momento opportuno, non si comprende per quale ragione l’Inter debba essere “più forte degli episodi” a prescindere dal fatto che quegli episodi poi la danneggino gravemente e indirizzino la partita in direzioni precise.
Anche perché, diciamocela tutta, questa barzelletta di essere la squadra “più forte degli episodi, di tutto e di tutti” si chiede solo all’Inter.
L’INERZIA DELLA PARTITA
Quante volte avete sentito queste frasi? “L’inerzia della partita” cosa è? Prendiamo ad esempio la partita di ieri. Roma e Inter si affrontano con due schieramenti sostanzialmente similari (a meno che non vogliate credere ai cronisti e pensare che Florenzi abbia fatto il trequartista), anche se la Roma mette in campo più muscoli. L’obiettivo di Spalletti è chiaro: stare chiuso e colpire in contropiede, come dimostra l’enorme percentuale di errori, i tantissimi rinvii a spazzare nonché i lanci lunghi: un calcio d’antan, per parafrasare un nostro più noto permaloso amico giornalista, ma che nessuno si sogna di criticare.
Una tattica che non voglio criticare neanche io, ma che è certamente agevolata dal vantaggio dopo neanche 5 minuti. Segnare è un merito della Roma? Certamente e non si discute, ma subire un gol in fuorigioco contro lo Sparta non è merito di nessuno se non del guardalinee: l’Inter è costretta a sbilanciarsi, e già lo fa piacevolmente di suo, dall’inerzia della gara.
Inerzia: “Condizione, temporanea o abituale, d’immobilità o inattività”, ovvero quella condizione in cui si è instaurato un certo andamento della gara che non cambia. A meno che non sopravvengano fattori esterni: un gol, una sostituzione, un errore individuale. O un errore arbitrale.
O, ancora peggio, un cosiddetto “cambio di metro”.
IL METRO ARBITRALE
Cosa è il “metro arbitrale”? Quante volte avete sentito dire “i giocatori si adeguano al metro arbitrale”, oppure “l’arbitro ha usato due metri arbitrali diversi”? Tante, vero?
Che cosa è? Non è una idea astratta, se è vero, come è vero, che sul “metro arbitrale” c’è un’intera sezione relativa al rapporto arbitrale sulle conduzioni di gara. Per farvi capire, prendo un esempio della Federazione Italiana Pallacanestro:
- Si misura la capacità dell’arbitro di avere un approccio consistente alla gara fin da subito e mantenere un metro coerente al gioco sia nel suo complesso (metro) che in relazione alle singole situazioni tecniche (giudizio), il più uniforme possibile per tutto l’arco della gara.
- Un metro ondivago non motivato da cambiamenti di intensità del gioco, o mutamento di atteggiamento tecnico tattico, da parte delle squadre deve essere considerato con maggiore severità rispetto ad un metro che può essere fiscale o tollerante ma costante per tutto l’arco della gara.
- La capacità o meno di mantenere un metro uniforme si traduce in una maggiore o minore credibilità dell’operato arbitrale.
- Necessità di individuare la differenza tra un metro arbitrale accettato (anche sbagliato) e/o accettabile (tecnicamente corretto)
Parlare del punto 5 sarebbe molto, molto lungo e prenderebbe in considerazione tante cose: ma quantomeno fissate le parole relative a un “metro arbitrale accettato, anche sbagliato”.
Vedete, il “metro arbitrale” non è qualcosa che si inventa da un minuto all’altro, non è qualcosa che si condiziona con l’ambiente e non cambia solo perché è una giornata storta e hai litigato con tua moglie. È bene chiarire subito che il metro arbitrale è qualcosa di deciso a tavolino, perché le partite vengono preparate prima, gli arbitri vengono indirizzati, studiano le squadre esattamente come fanno gli allenatori e i calciatori. Un arbitro non sta un’intera settimana sul divano, poi arriva a San Siro o all’Olimpico entra in campo, guarda i suoi colleghi e dice “oh, ma adesso come facciamo? Gialli da subito o vediamo come va?”. Più facile che dica “Chiellini fa spesso fallo da dietro entro i due minuti, occhio perché in caso mettiamo subito le cose in chiaro con un giallo” (no, scusate: questa è fantascienza).
A parte le battute, il metro arbitrale da usare per quella specifica partita, almeno all’inizio, è perfettamente impresso nella sua mente da giorni. Quante volte, guardando una partita di Champions League, avete detto o sentito “Sì, è fallo/giallo/espulsione/rigore, ma in Serie A non l’avrebbero mai dato“? Vero, ci possono essere in campo, e sugli spalti, situazioni che portano l’arbitro a decidere di cambiare il metro arbitrale che era stato pensato per l’inizio di quella partita, ma è pur sempre un cambiamento che si incanala su alvei conosciuti e già pensati/studiati.
Questo è un aspetto che nessuno approfondisce mai, sembra che l’arbitro stia una settimana in una campana di vetro e poi vada in campo limpido e purificato da ogni sorta di condizionamento, interno o esterno che sia, media compresi. Non è così. E non è neanche lontanamente pensabile che una finale di Champions o un Empoli-Juventus si preparino e si arbitrino allo stesso modo, così come un Roma-Inter o un Milan-Sassuolo: l’arbitro, entrando in campo, sa perfettamente che partita farà lui (poi è come i calciatori, non sempre si gioca come si vorrebbe), come fischierà e come si regolerà in quelle che sono le casistiche più facilmente determinabili.
Facciamo un esempio? Il metro arbitrale di Banti ieri sugli scontri centravanti/difensore centrlae (inevitabili per ogni partita e fondamentali per comprendere la “natura” del metro arbitrale), nell specifico Dzeko-Miranda, era quello di far giocare il più possibile, perché l’arbitro sa perfettamente che Dzeko si aiuta spesso e sa anche che Miranda è molto bravo a usare il corpo: metro apprezzabile. Oppure, altra casistica per fare un esempio, un minuto dopo il gol, Perotti prende palla e piede di Ansaldi e riparte la Roma: tipologia di fallo non fischiato, se non dopo un’ora di gioco. Memorizzate questo punto.
Rileggete le parole della FIP sopra: “un metro ondivago non motivato da cambiamenti di intensità del gioco, o mutamento di atteggiamento tecnico tattico […]”, il metro (vale per il basket così come per il calcio) subisce dei mutamenti al cambiare dell’intensità di gioco e della tattica della partita: diventa parte integrante di quella che abbiamo chiamato “inerzia”, al punto da esserne uno dei fattori bilancianti o sbilancianti. Ad un certo punto della partita tra Roma e Inter, non giustificato da alcun motivo tecnico o tattico (nessuna ammonizione, per esempio; di più, ritmo della partita che inevitabilmente si abbassava), Banti ha deciso di fermare più volte l’azione e di fischiare non solo quei contatti, ma anche tanti contatti in più.
Pronti per stupirvi? Anche a vantaggio dell’Inter. Perché fischiare le situazioni più dubbie, pro o contro, spezzava il cosiddetto “ritmo partita”, cosa agevolata moltissimo dalla facilità (tutta italiana, purtroppo) con cui i gallorossi cadevano per terra come fulminati da improvvisi ictus. Perché fin lì la bellezza della partita era anche dovuta al fatto che l’arbitro era intervenuto pochissimo, lasciando che le due squadre se le legnassero di santa ragione: a fine partita solo 9 falli subiti dall’Inter (un fallo ogni 10 minuti!), 17 dalla Roma, mentre il primo era finito 5 a 6 per i giallorossi. Anche se il numero può essere insufficiente a rallentare il ritmo: è la casistica che conta.
Ecco che l’inerzia della gara cambia, le azioni si spezzettano, non c’è più fluidità nel gioco e il ritmo si abbassa vertiginosamente: in quell’ultima mezz’ora, quel contatto Ansaldi-Perotti l’avrebbe fischiato. Ed è inevitabile che a ritmi più bassi, a squadre agevolate dalle pause nel rientrare in difesa, la più agevolata sia stata la Roma.
Ovviamente tutta l’impalcatura si regge su un assunto: Banti ha deciso scientificamente di cambiare metro. Punendo tocchi e tocchettini, compreso quello che nella normalità potremmo anche considerare un fallo, ma che con il metro usato dall’arbitro di ieri non lo fischi mai e poi mai, neanche sotto tortura:
Decisioni birBanti che decidono gli incontri from dondiego on Vimeo.
Nell’azione successiva, il fallo di Jovetic che genererà la punizione con l’autogol di Icardi.
Insomma, il peso di un arbitro all’interno di una partita è notevole, enorme.
Perché oggi dipendiamo da loro, dagli arbitri: quelli più bravi sono quelli che riescono a essere “invisibili”, che usano lo stesso metro e che sono consapevoli che la partita, per svolgersi correttamente, ha bisogno che l’arbitro “non si veda”. Quelli “più bravissimi” di tutti, che talvolta sono anche quelli più dannosi, sono perfettamente consci che qualche fallo fischiato o meno, qualche rimessa invertita, qualche pausa di troppo concessa alle proteste… insomma, che ogni dettaglio dei loro fischi/non fischi porta le partite esattamente dove vogliono loro. Talvolta coincide con l’idea di sport sano e piacevoli, talaltra un po’ meno.
La speranza che abbiamo è che finisca presto la generazione dei Tavecchio e dei Marotta e dei Galliani, e che nessuno abbia più timore della tecnologia, di un’ampia dose di scelte fatta senza la tanto amata (dai vincenti) “discrezionalità e soggettività” arbitrale. E a nessuno verrebbe più da dire che Niang è bravissimo se si butta, o che qualche calciatore troppo adrenalinico urli “giusto! Giusto!” di fronte a un’ingiustizia colossale.